GIANNI DE TORA

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1970 Galleria S.Carlo, Napoli 11-20 maggio

 
 
TESTO DI ANTONIO DEL GUERCIO PER IL CATALOGO DELLA MOSTRA
La direzione essenziale della ricerca di Gianni De Tora appare bene evidente, in questa mostra che segna, per il giovane pittore napoletano, l'ingresso deciso in una fase di maturità. Tale direzione risulta qui anche dal confronto che si può fare tra le opere che si collocano all' inizio di questa fase nuova e quelle - recentissime - che ne indicano i primi esiti.
Voglio dire che il senso di marcia è dato da un progressivo riassorbimento di residui di un linguaggio che sommariamente si potrebbe indicare come bozzettistico ancora a beneficio di una più coerente assunzione di modi formali pertinenti all'iconosfera urbana, all'imagerie di massa. Modi che, in De Tora come in altri giovani italiani ed europei, del resto, hanno la loro origine in un determinato recepimento della irruzione pop degli anni Sessanta. Bisogna avvertire subito, però, che questo recepimento non appare contrassegnato da passività, o da esteriore smania di aggiornamento. Che qualche scotto in tale direzione, De Tora lo abbia pagato, o magari debba ancora pagarlo, può anche essere rilevato; ma non direi che la cosa varchi il limite di tolleranza, per così dire; d'altra parte, non si vede come possano davvero effettuarsi gratuitamente, da un pittore, passi di così radicale mutamento espressivo e formale senza scontare, ai margini della ricerca, qualche prezzo.
Il punto centrale però, da ben valutare, è la pertinenza della operazione ai dati più sostanziali dell'artista, alle sue proprie ragioni di cultura e insieme di sentimento. Ragioni che in De Tora si palesano come tensione verso una sorta di critica contestativa a quella stessa imagerie di massa che egli assume non a caso nel punto di frizione tra un ottimismo futuribile e la persistenza dei conflitti concreti, qui in terra, sui quali si gioca il destino reale del pianeta che abitiamo. E, in questo contesto, è ben significativo che, tra le diverse e contrastanti indicazioni che gli provengono dall' eredità pop, è, direi, verso la particolare angolazione di un Rosenquist ch'egli pare propendere. E, questo, in due sensi: da una parte, la flessione critica che Rosenquist dà alla sua divorante annessione dei paesaggi dell' artificialità e del consumo; dall'altra, il rapporto che Rosenquist stabilisce con un'area europea - da Léger al surrealismo - per inverare attraverso identificabili strumenti di linguaggio oggettivo e al tempo stesso corrosivo la propria posizione critica.
E' sopratutto, credo, per tali tramiti che De Tora ha portato a un determinato punto di chiarezza i propri risultati più recenti: e mi riferisco sia ai quadri ultimi, specie laddove una lirica semplicità dell'immagine condensa in contrapposte tensioni di fantasticheria spaziale e di dolente realtà terrena il proprio valore conflittuale, sia a certi disegni nei quali lo stesso valore conflittuale si dichiara nella probità apparentemente dimessa del bianco-nero. In questi più autonomi conseguimenti, mi pare oltretutto che De Tora bene avvii anche a risolvere - rescindendoli alla fine - i propri rapporti con le esperienze che più lo hanno interessato in questo periodo.
Voglio dire che si profila all' orizzonte già con chiarezza una possibilità di svolgimento al di là degli stimoli culturali verso una risoluzione organica delle ragioni che sono sue; e che, voglio ripeterlo, egli, ha inseguito e cercato anche per la via di un attento confronto culturale. Confronto che proprio per la difficile combinazione che esso presuppone - di severa modestia nei confronti degli apporti illuminati e di ferma difesa di ciò che è inalienabilmente personale - spicca sui furbeschi saccheggi che un'informazione facile consente a chi pensa al proprio destino di pittore nei tempi brevi del successo mondano.
 
ARTICOLO DI SALVATORE DI BARTOLOMEO SU NAPOLI NOTTE 27/28 maggio 1970

LA MOSTRA DI DE TORA
Recentissima la personale di Gianni De Tora nei locali di via Chiatamone 57.
Dotato di una grafica dinamica e ben strutturata, De Tora nel suo discorso visivo è sollecitato da istanze culturali, che lo inducono sovente a schemi cartellonistici. La sua tematica è condotta in chiave cronachistica imperniata su fatti e mostruosità belliche della nostra epoca.
Una condanna alla violenza e alla soppressione.
Quattordici opere ed una serie di bianchi e neri, grafica policroma o a tecnica mista, in un discorso figurale dove il segno geometrico circoscrive l'immagine e diventa simbolo nella sua rappresentazione. La figura -zumata- è concepita quale elemento compositivo e che assume la sua importanza (a prescindere dal valore rappresentativo) in virtù di una particolare posizione nel ritmo totale dell'opera a campiture piene, con prevalenza di verdi, gialli e rossi. Cerchi, tangenti e parallele - netti e determinanti - portano a ben individuare il concetto schematico dell' opera stessa.
Più interessante, dal punto di vista di libertà espressiva, la serie dei bianchi e neri e dei policromi, che completano la mostra di De Tora alla "S. Carlo".
Per la cronaca di attualità: "Establishement", "Telecronaca '69", "Black man" ,"Vietnam ora zero" e "Figlia dei fiori".

 
cartolina presentata in occasione della mostra
 
 
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